Trump per il sì


Perché parlare di delusione, instabilità e voti inaspettati se solo televisioni e giornali (leggete establishment: poteri deboli che detengono le vere posizioni di comando come uffici e amministrazioni minori) sono talmente lontani dalle persone che votano, da non dare alcuna possibilità ad un candidato alla presidenza?
La stessa cosa accade qui ma ritengo sia al contrario: è Renzi che non gode più di credibilità mediatica contro il Movimento, la Lega, i sinistroidi del Pd ora tanto simpatici alle reti Mediaset (mai Bersani ha ottenuto queste attenzioni).
Penso che scandalizzerà l’opinione dei potenti proprio una eventuale vittoria del sì! Facile votare no per motivi non inerenti alla riforma e ancora più facile votare no per le pecche dei propositi renziani. Eppure, credo, che sotto i 25 anni ci sia quella tanto osannata “pancia del paese” che ritiene ragionevole la spinta del referendum. Sopra questi giovani medio informati c’è una classe di genitori completamente disinformati tra i 40 ed i 50 anni che si affida ai figli e voterà sì anche solo per questo consiglio.
La campagna del no arriva da tutti i fronti ed è lì che per me sta l’establishment: saranno tutti sconvolti per la riforma costituzionale approvata: perfino Renzi, come Trump.

Cittadinanza

Il 26 ottobre 2016 sono diventato cittadino italiano; in molti mi hanno chiesto come mai avessi fatto una scelta di questo tipo e qualcuno ha addirittura cercato di dissuadérmi dal farlo. Per me è stata una tappa fondamentale del mio vivere in società e l’opportunità di votare basta a dare la ragione della mia decisione. Quindi finalmente mi sento in diritto e dovere di esprimere la mia opinione politica (come tu caro lettore hai il pieno diritto di non proseguire oltre se ciò ti crea disagio).
Disprezzo l’ipocrisia e per questo mi allontano da ogni tipo di estremismo: di destra in quanto non avrei dovuto avere il permesso di integrarmi in uno Stato diverso da quello di nascita e di sinistra perché non avrei avuto la necessità di emigrare dalla terra che mi ha dato i natali. Nel centro discuto ogni valore e scelta di direzione in base a due criteri che secondo me superano tutti i valori in gioco nell’agire politico: capacità critica in primo luogo e meritocrazia al secondo posto.
La ragione sta dalla parte di chi calcola in ogni sfaccettatura le premesse e le conseguenze di un pensiero o di un’azione senza alcun pregiudizio e con coerenza intellettuale. Con pari dignità critica di ideali, personalmente premio chi lotta e fatica per il proprio obiettivo, chi si è speso in qualsiasi modo giusto per realizzarsi e non considera nulla dovuto per grazia divina.
Non dovrebbe servire aggiungere altro dato che seguendo questi caratteri è possibile arrivare ad una decisione ogni volta che si devono esercitare i propri diritti. Non esiste inoltre una persona che attualmente incarni i miei ideali politici per questo non ho nomi da associare a questo articolo; ancor meno li realizzano i partiti. Detto tutto ciò il dibattito costruisce le opinioni ed i compromessi sono la chiave della convivenza civile: impegnarsi è la sola soluzione per non subire l’attività altrui.
Grazie Italia per la richiesta di cittadinanza che hai accettato; i miei motivi sono una storia personale che non mi hai chiesto sebbene io per primo ritenga fondamentale avere ragioni solide per associare l’aggettivo italiano accanto al nome proprio di una persona. C’è un peso di secoli in questo diritto ed ogni individuo dovrebbe esserne consapevole in quanto <siam pronti alla morte> fino a poco tempo fa ha avuto un preciso significato; oggi non vale allo stesso modo ma il sacrificio deve essere morale, intellettuale, personale per una causa semplice che ha a che fare con il modo in cui ogni giorno scegliamo di vivere.

9 Dicembre 2013, la colpa:

Uno è stato il motivo principale del fallimento del movimento popolare del 9 Dicembre: la mancata adesione di quelli che si definiscono “intellettuali” in questo Paese. Esattamente la colpa è di tutti quelli che da anni invocano la sommossa popolare, la discesa in piazza, la rivoluzione che parte dal basso; ma proprio questa categoria di persone, rappresentata da studenti e individui che ancora leggono i giornali (circa 1/3 della popolazione italiana), è restata chiusa nelle proprie aule a guardare dall’alto il vero popolo che tentava di prendere in mano lo Stato.
Per attuare la rivoluzione, purtroppo sono necessarie delle proposte che occupino la parte distrutta. I cittadini lavoratori, oramai senza lavoro, sono scesi in campo per fare ciò che spettava loro, ma dato che noi “gente studiata” non abbiamo contribuito a dare un’idea formata alle proteste, queste sono state derise dalla classe dirigente. Personalmente credo che in questa motivazione stia il più grande problema del Movimento 5 Stelle, di fatto il gruppo che rappresenta la maggioranza degli italiani, ma che ancora non ha la guida ideale, politica che possa permettere di canalizzare la vitalità indubbia che il popolo ha.
La questione è che ancora molto si può fare, si deve fare, perché i problemi vanno aumentando e la fiaccola della protesta ancora non si è spenta. In Veneto ancora si vedono le bandiere dei presidi, lungo le strade ogni decina di chilometri si trovano operai in sciopero. Il mio è un invito a quella classe vittima della crisi morale che ancora non ha fatto nulla oltre a parlare, ne faccio parte, e desidero che noi sappiamo, noi tutti, che siamo necessari alla protesta. Incanalare le forze diventerebbe un’arma più dannosa delle violenze in atto, quelle provocano solo critiche e proroghe dei vizi della politica, mentre dare una precisa direzione sarebbe un passo verso la progressiva sostituzione di questa odiata classe dirigente.
Ma le mie sono parole dovute ad un profondo senso di colpa che spero abbiano tutti coloro che partecipano alle lamentele e che non hanno partecipato a quell’invocato 9 Dicembre, e proprio per questo dichiarato senso di colpa spero arrivi una prossima partecipazione cospicua, decisa e imponente a qualsiasi tentativo di protesta della gente comune. Senza recriminare il mancato rispetto della libertà altrui, senza nascondersi nel proprio cortile, ma intervenendo per dare forma legale, giusta, pianificata e organizzata alla volontà di tutti.

Giuseppe Tornatore a Pordenonelegge

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Affascinante, questo è l’aggettivo adatto per descrivere sia l’incontro di ieri sera a Pordenonelegge sia il regista italiano Giuseppe Tornatore. Il filo conduttore della serata è stato il rapporto tra il cinema e la letteratura, e il pensiero del cineasta siciliano si è sviluppato da una citazione del suo conterraneo Sciscia: “da un grande libro non è possibile ricavare un grande film”; questo perché il lavoro del regista non è quello di un semplice illustratore, ma egli deve saper intervenire sul soggetto e deve introdurre la propria personalità nella sceneggiatura, quindi operare su una storia importante significherebbe rovinarla, cosa che non deve assolutamente accadere. Tornatore ha spiegato che ha sempre scelto di costruire le sue pellicole intorno ad un’immagine, o perlomeno questo è il metodo che ha effettivamente utilizzato; non si è mai accontentato di optare per soggetti facili, ma ha visto le sue decisioni come sfide personali tra le immagini mentali che associava ad una storia e la possibilità effettiva di renderle sullo schermo. Di questo si è parlato perché le sue sceneggiature sono definite blindate, infatti egli ha raccontato che la sua filmografia è composta da storie lavorate anni ed anni nella sua mente, un’incubazione dell’idea che gli ha permesso di creare il tradimento perfetto. Esattamente tradimento, dato che il percorso di un film secondo Tornatore è fatto di questi: ad ogni passo, dall’intuizione al film compiuto, passando per soggetto, sceneggiatura e riprese, il regista deve tradire il proprio operato, continua ad elaborarlo per arrivare alla migliore realizzazione. Tra aneddoti personali sulla sua presunta maniacale attenzione per i dettagli di ogni frame, l’ora passata insieme al regista è stata particolarmente settoriale, illuminante per chiunque faccia parte del mondo del cinema e della letteratura, e interessante per chi volesse scoprire i meccanismi della creazione di un film. Il suo modo di fare è colto, pensieroso, intellettuale, Giuseppe Tornatore usa le pause magistralmente per catturare il pubblico e per far capire la sua personalità da regista, ha chiuso l’incontro citando l’unica frase dei suoi film che è stata tratta integralmente da un libro, senza rimaneggiamenti: “dimenticatevi spesso di me”.

Pupi Avati a Pordenonelegge

pupi avati
“La grande invenzione” è il libro che oggi Pupi Avati ha presentato a Pordenonelegge. Piazza gremita e pubblico accogliente, niente di meglio per un regista che ha prima di tutto intrattenuto la folla con i suoi aneddoti. I racconti sono stati quelli della sua vita, perché di questo parla il libro, e gli argomenti hanno toccato vari punti della sua esistenza: la concezione di vecchiaia, il lavoro da regista e la visione che ha del suo ruolo, i mesi passati da pseudo-jazzista con Lucio Dalla e le prime esperienze che lo hanno fatto entrare nel mondo del cinema; il tutto avvolto attorno ad un fuoco, quello della passione. Pupi ha espresso chiaramente come ogni età necessiti per essere vissuta a pieno, della voglia di raccogliere qualcosa dalle proprie esperienze, dall’aspirante attore che deve affrontare un casting obbligatoriamente spinto dall’aspettativa e dal grande desiderio di raggiungere i propri obiettivi, al giovane appassionato di musica che tenta in tutti i modi di far parte di quel mondo finendo poi per diventare uno dei più conosciuti registi italiani contemporanei. La svolta per lui è stato un film: “8 e 1/2” di Fellini ha messo Pupi Avati di fronte alla sua mancanza di talento per la musica, e lo ha spinto verso la macchina da presa, inesperto certamente come chiunque all’inizio, ma dotato di ciò che distingue un regista da tutti gli altri, e cioè la visione della realtà, una visione dilatata, che gli ha permesso di fare di piccoli frammenti di vita, grandi pellicole cinematografiche. Molto importante è stato secondo lui, aver capito l’opposizione tra passione e talento, la prima permette di essere professionali, il secondo porta alle vette di ciò che desideriamo intraprendere. Queste conclusioni si trovano nel libro, scritto grazie alla vulnerabilità dell’uomo, una debolezza che appartiene alla vecchiaia ma non in senso negativo, bensì concepita come voglia di scoprire cosa è stato raccolto dagli anni passati.
L’incontro è stato certamente divertente, essendo un regista Pupi è in grado di affabulare il pubblico narrando i pezzi della sua vita più significativi ed irriverenti; ma grazie a questa sua capacità è stato in grado di spiegare con tono lieve ai presenti, come le scelte siano fondamentali nella vita di ognuno. Le decisioni vanno prese dopo un’accurata introspezione, e guidate da quel fuoco che non deve mai mancare all’uomo mentre conduce la propria grande invenzione.

Il giuramento di Napolitano

Un vecchio saggio, questa è la figura che emerge. Un uomo che ad una veneranda età riesce a dire che Internet è un mezzo nuovo di democrazia al quale bisogna guardare, senza restare attaccati ad un sistema partitico logoro ma attraverso il quale in una Repubblica bisogna passare.
Il riformismo di Giorgio Napolitano è ancora chiaro, rappresenta un uomo che ha fatto sua la politica e la storia d’Italia, il suo amore per una patria che guida con la devozione che si deve ad una madre. Oggetto del discorso fatto oggi 22 aprile 2013 alle Camere riunite, è la necessità di mettere da parte le divergenze e porre in atto quelle questioni e quelle leggi che a lungo hanno suscitato il dibattito in Parlamento ma che fino ad ora non sono state emanate.
“Tutte le fazioni politiche si prendano la loro responsabilità”, questa è stata la prerogativa del primo Presidente della Repubblica che ha avuto il secondo mandato. Non ci sono altri punti che devono fermare lo svolgimento corretto della democrazia.
Tra le tante cose che si possono pensare di Napolitano, ogni cittadino è tenuto a rispettare un uomo che più di chiunque ad oggi si stia impegnando perché questo Paese possa riemergere nella posizione che nel Mondo gli spetta. Nel discorso uno dei punti fondamentali ha riguardato le eccellenze italiane che a causa della crisi economica non hanno avuto la possibilità di esprimersi. Non è pensabile che ancora non si sia fatto qualcosa di concreto per il Paese, ma di certo le colpe non devono ricadere su Giorgio Napolitano, poiché come tutti hanno ribadito in questi giorni di commenti sul Capo dell Stato, egli ha un ruolo Istituzionale a cui guardare, e non gli è permesso uscirne, in senso positivo o negativo che sia, ha un limite dal quale non può esondare.
In questi anni importanti per la storia del mondo, Napolitano è stata la figura che ha permesso ai nostri politici di camminare a testa alta nelle strade, forse non a tutti sta bene che coloro che ci rappresentano ora siano orgogliosi di ciò che hanno fatto, ma i voti ai partiti seduti a palazzo Montecitorio sono arrivati, ed è merito o demerito nostro.
Questo discorso sarà negli anni un capitolo altissimo della storia politica, ne emergono un’apertura inaudita verso il progresso, verso i nuovi volti che egli ha di fronte, una critica forte verso l’inadempienza dei politici. Ai partiti oggi è stato chiesto un conto virtuale che deve essere pagato per aver richiamato un vecchio ad un posto che aveva lasciato; con la dovuta dialettica democratica è ora che ci siano dei fatti concreti, è stata auspicata una trasformazione che comprenda tutte le realtà del Paese in un connubio fatto di voglia di Repubblica, voglia di avanzare a testa alta verso una nuova storia della politica italiana.

Ancora niente da fare …

La prima votazione si è conclusa con un accordo che non c’è, fortunatamente quella seduta a tavolino tra Bersani e Berlusconi si è rivelata per quello che è stata: uno degli ultimi tentativi di quei due signori di restare incollati a quelle poltrone che gli sono state costruite da chi li ha votati fino ad oggi.
L’intoppo è stato il solito, quello che in questi anni non ha mai permesso alla pseudo-sinistra italiana del PD di prendere il potere e mantenerlo: è composto da intellettuali, persone competenti che per raggiungere giustamente il potere ed essere attivamente anti-Berlusconiani sono stati costretti ad unirsi sotto la bandiera di una segreteria di partito che da anni ha smarrito la retta via. Ed ecco che non hanno accettato la candidatura di Marini, un uomo che ha avuto Renato Brunetta come sottosegretario personale e che essendo favorito dalla pseudo-destra ci avrebbe permesso di avere ancora a lungo quella politica che stiamo tentando di cambiare.
Ora, anche se questo mese di attesa sta solo rovinando la reputazione che abbiamo recuperato con sacrifici economici che ancora stiamo tutti subendo, la mia personale speranza è quella di un giurista che viene dalle rappresentanze del mondo del lavoro, Stefano Rodotà, il quale ha le qualità per sedere sul Colle anche solo per il fatto di essere sfavorevole a persone presenti nella vita politica italiana dal’94 …
Nonostante le battaglie e le parole spese fino ad oggi, ancora viene consumato il tempo che l’Italia non può permettersi di perdere; il Partito Democratico è chiaramente sull’orlo del baratro, sebbene abbia dimostrato chiaramente di essere formato da persone intelligenti e in grado di pensare al bene del Paese, non al fine ultimo di poter formare un Governo che a quanto pare in ogni caso non durerà molto.

Gabanelli candidato Cinque Stelle

Diventato ufficiale il nome di Milena Gabanelli come candidata al Colle, si aprono i dibattiti sulla sua competenza o meno per il ruolo di Presidente della Repubblica; lei stessa ancora non accetta o declina l’eventuale offerta, rimandando la decisione a votazioni concluse.
A differenza dei “papabili” degli ultimi giorni, la Gabanelli è forse la meno conosciuta dalle persone che in questi ultimi anni si sono allontanate sempre di più dalla politica, e quindi potrebbe non godere di commenti argomentati con cognizione di causa, che già si sono sprecati nella rete.
Quindi per evitare che dai salotti TV possa emergere un quadro solo politico della candidata in questione, desidero spendere un articolo a caldo. Milena Gabanelli, classe 1954, è una giornalista che si è fatta conoscere al grande pubblico con il programma d’inchiesta della RAI “Report”, e grazie ad esso si è creata intorno una serie di scontenti dei piani alti che già da tempo diffamano il suo lavoro.
I servizi che manda in onda il programma di cui lei è autrice e conduttrice, riguardano più i grandi scandali economici, le inefficienze legate a corruzione e mafia, che vanno quasi sempre a legarsi col mondo della politica italiana. Imperterrita lei ha comunque continuato il suo lavoro nonostante le querele siano arrivate a richieste per più di 300 milioni di euro, puntando il dito non su scandali locali, ma su buchi dell’intero sistema come la sanità, i rimborsi elettorali, le grandi opere pubbliche, la privatizzazione e così via.
Oggi probabilmente per questa sua tenacia nel denunciare un tipo di società che non può funzionare, è stata scelta dalle votazioni online del Movimento Cinque Stelle come candidata al Quirinale. Gli oppositori già criticano la sua inadeguatezza al ruolo per la sua estraneità alla politica (quella burocratica), indicizzando la scelta e dandole una motivazione anti-politica alla base.
Personalmente accetto che un possibile nome per la Presidenza della Repubblica possa non essere condiviso, anzi è legittimo criticare questa proposta con argomentazioni plausibili (Grillo stesso si è reso giustamente conto della sua ineleggibilità dimostrando buonsenso); ma secondo l’articolo 84 della Costituzione “ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici” può diventare Capo dello Stato, quindi Milena Gabanelli non può essere denigrata a priori per la sua posizione nei confronti del sistema politico vigente, e men che meno per paura delle conseguenze che avrebbe una giornalista d’inchiesta del suo calibro seduta al Colle.
Ora resta solo da vedere come andranno le prossime sedute del Parlamento, ricordandoci che i giorni passano comunque e l’Italia intera non si sta fermando a guardare cosa viene imposto ai Suoi cittadini, ma questa è, mi auguro, l’ultima possibilità che stiamo dando a noi stessi di prendere in mano il Paese senza dover ripartire da zero.

Sacile Film Festival alle porte

foto staff SFF
Comunicato stampa: Martedì iniziano nella cittadina friulana i cinque giorni di Festival organizzati in collaborazione con Giffoni. I primi due saranno dedicati ai ragazzi delle scuole Elementari e medie, per le Superiori invece ci saranno tre giornate intense di visione e dibattito dei film che lo Staff di Claudio Gubitosi ha selezionato per l’occasione. Evento importante è l’incontro con l’ospite di sabato 16: Simone Cristicchi risponderà il pomeriggio alle domande dei giurati e poi durante la serata conclusiva si esibirà sul palco del teatro Zancanaro. I punti di contatto tra l’evento di Sacile e il comune campano sono incentrati sulla collaborazione e l’integrazione di esperienza, che Giffoni ha da 42 edizioni passate, e forza vitale dimostrata dai ragazzi del Friuli. Infatti oltre al cortometraggio girato da Manlio Castagna , Gianvincenzo Nastasi, e Luca Tesauro “Se tu (non) fossi qui”, elemento chiave dal quale si dipana il Festival, i ragazzi lavorano in prima persona all’organizzazione di tutte le attività: stampa, fotografia, video, sono solo alcuni degli impegni che vedono protagonisti gli stessi giurati. Tutto è pronto per questa seconda edizione, l’attesa è grande e i riflettori sono puntati.

Ogni info sul sito www.giffonifestival-sacile.it

Brucia la città della Scienza, cos’era?

VIVITAR DIGITAL CAMERA
Gita scolastica di quarta superiore di un liceo Scientifico, questa era l’occasione che mi ha portato in quel luogo; i dintorni arrivando da Napoli fornivano due paesaggi più che disparati: il degrado industriale e la costa che vedete nella foto.
Poi in questo ambiente si ergeva questo simbolo culturale che anni fa aveva rettificato la reputazione di Bagnoli e aveva aperto ai suoi abitanti delle opportunità invidiabili. Il luogo che ieri sera ha preso fuoco era uno stabilimento dove i visitatori potevano interagire direttamente con varie forme della scienza, si potevano verificare leggi fisiche complicate con semplici operazioni meccaniche, era possibile portare alla comprensione di tutti i progressi e le scoperte dell’uomo fatte in anni e anni di studi e ricerche.
Ieri sera è stato forse appiccato un incendio nel luogo dove pensiero e manualità si incontravano, un bambino poteva verificare che unendo insieme tutti i colori, girando un semplice cartoncino con a fianco una didascalia, ne risultava uno solo che magari oggi non tutti sappiamo.
Questo è un mio piccolo ricordo verso un edificio che per me era simbolo della vittoria della cultura in un luogo che l’uomo ha saputo rovinare, riqualificare e distruggere più volte, mi auguro che tutto quello che è successo sia frutto di casualità e accanimento del destino, non della mano di un nostro simile che ha voluto lasciare a casa circa cinquecento dipendenti, o che voleva colpire in pieno petto la voglia di scoperta dell’uomo, la sua capacità di stupirsi di fronte ai giochi della Natura, davanti ad un cartoncino colorato che viene spinto per girare veloce.

Chi è Simone Cristicchi

simone cristicchi
In occasione della sua presenza al Sacile Film Festival, colgo l’opportunità per esprimere la mia opinione su questo artista. Simone Cristicchi nasce a Roma nel 1977 e deve la sua formazione psicologica alla sua esperienza di volontariato in un centro d’igiene mentale: questo lo porta a scrivere libri e ad interpretare opere teatrali che riguardano il tema della malattia mentale nonché alla composizione della canzone che vince il Festival di Sanremo del 2007 “Ti regalerò una rosa“.
La sfortuna dell’artista romano è quella di aver raggiunto la fama con una canzone che critica l’asservimento dei giovani cantanti ai gusti e alle mode temporanee (“Vorrei cantare come Biagio Antonacci”), che viene presa dal pubblico come tormentone estivo, mettendo in secondo piano il valore che Simone Cristicchi mostra nelle opere teatrali e negli scritti pubblicati.
Le grandi tematiche che l’ospite del 16 Marzo della cittadina friulana di Sacile tratta, si dividono in due principali filoni: l’esperienza del centro d’igiene mentale che ha portato a due spettacoli teatrali ed un diario, e l’emozione suscitata in lui dalla guerra, dai racconti dei reduci, dei nonni che sono morti; questa seconda faccia di Cristicchi nonostante sia la meno nota, è rappresentata in due opere per il teatro e tre opere stampate.
Le semplici informazioni riportate indicano come la personalità dell’artista romano sia obbligatoriamente divisa tra audience e vere intenzioni comunicative, ma già dal Festival di Sanremo che vinse nel 2007 il pubblico venne a sapere del suo spiccato disappunto per la società ed in particolare per i problemi che riguardano il maltrattamento che gli uomini operano sui loro simili; le questioni della guerra e della malattia mentale sono profondi ed eterni dibattiti etici sui quali Simone Cristicchi si è voluto impegnare e sui quali è riuscito a riportare un’attenzione rispettabile.
In occasione dell’incontro con dei giovani tra i 14 e i 19 anni perciò, si potranno incontrare un racconto di vita che non appartiene più alle generazioni nate dal ’90 in poi, e l’inconsapevolezza di ragazzi che hanno voglia di ascoltare un uomo che nella sua storia ha sempre combattuto per amplificare la voce di suoi, nostri simili disadattati, estranei, esclusi dalla società.
Il Sacile Film Festival è fiero di poter presentare un ospite di questa importanza morale, soprattutto perché gli stessi ragazzi che organizzano l’evento vogliono ascoltare chi come loro ha lottato per affermarsi e diffondere la propria idea di cultura.

scritto per Sacile Film Festival

L’uomo che cambia posizione

“Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,/ vidi e conobbi l’ombra di colui/ che fece per viltade il gran rifiuto.” Dante (Inferno,III,vv.58-60). Le interpretazioni più antiche accertano che il riferimento di Dante è chiaro: Celestino V, il primo papa che storicamente ha abdicato, dimissionario come si usa dire oggi. All’epoca questo gesto fatto per viltà, timore, poco coraggio nell’affrontare le responsabilità del ruolo che gli era stato assegnato, suscitò scalpore: un uomo che era stato scelto per rinnovare la Chiesa in un momento di profonda crisi dovuta al potere temporale del papato, rinunciò al pontificato perché timoroso della società che lo circondava.
La situazione sembra simile, anzi oso dire che quei versi citati dall’Inferno si possono attualizzare; l’ormai papa emerito Benedetto XVI indotto dalla contingenza della situazione, per causa di fiacchezza personale, ha lasciato vacante la sede. Siamo nella storia vera e propria, dobbiamo solo allargare il nostro sguardo e capire come analizzare questa situazione, quel papa citato da Dante è finito all’Inferno, tra i vili, il più grande poeta della storia italiana ha riconosciuto solo la debolezza del suo spirito, quindi dovremmo vedere anche noi con quegli stessi occhi i fatti odierni?
Non credo le società del milleduecento e del duemila possano essere paragonate, all’epoca la Chiesa era estremamente corrotta, si vendevano indiscriminatamente i possessi della curia, nessuno dei prelati rispettava veramente i dogmi imposti dalla religione e dal buonsenso; mai nulla di più dissimile ad oggi. Il mio sarcasmo, la truffa che la Chiesa pratica oggi non è di quel tipo, personalmente ritengo che gli uomini si siano allontanati dal credere alla magia del mondo e l’ecclesia non sa ad ora come riportarli indietro, ma questo è un dibattito più profondo nel quale non voglio addentrarmi qui, intendo invece studiare e capire anche attraverso un eccellente precedente storico le ragioni della scelta di Joseph Ratzinger.
Le posizioni e le strade da seguire possono essere tantissime, ma se evitiamo il complottismo e cerchiamo di capire la logica di pensiero di una mente umana come quella di ciascuno di noi, ci addentriamo nei ragionamenti di un uomo vecchio che ha raggiunto l’apice del Cattolicesimo; la realtà intorno all’epoca in cui stiamo vivendo riconduce alla situazione di Celestino V: l’uomo si è perso nel seguire l’economia della vita quotidiana e chi ha il compito di sviarlo da quella ha smarrito le più semplici leggi della comunicazione. In parole più semplici le parti in questione non sono più collegate direttamente da un filo , ma il percorso per arrivare dalla Chiesa all’uomo è divenuto intricato come non mai, o forse complicato come quella volta di quasi mille anni addietro.
La mia conclusione vuole essere un semplice studio di piccole questioni che mi portano a dare un giudizio sull’abdicazione del papa: tutte le ragioni fin qui brevemente esposte possono essere motivate e spiegate ma ritengo che è solo l’unione di tutti i fattori esterni alla personalità del papa “dimissionario” che lo ha portato a questa drastica decisione. Questo uomo al centro dell’attenzione mondiale si è ritrovato nella situazione che Dante aveva criticato al suo tempo, e usando quel precedente ha imparato a ribaltare la posta in gioco, ha usato la storia a suo favore per riportare i riflettori su quella che succede nelle mura del Vaticano, che siano eventi oscuri o limpidi; con un gesto assolutamente anti-egoistico ha ucciso ciò che egli è per far vivere in modo più prepotente ciò che rappresenta, ha dimostrato viltà per dare coraggio. L’unica critica che da semplice commentatore posso fargli è quella di essersi buttato nel buio, non si può essere certi che la posizione della Chiesa ritorni ai fasti successivi a quel “gran rifiuto”.

Un voto vale uno

Tra le molte sorprese delle elezioni politiche 2013, ciò che sembra più sconvolgere è quanto effettivamente il voto di ogni singola persona abbia pesato sui risultati.
I dati diffusi dal Viminale sono stati seguiti dalle dirette televisive come mai prima d’oggi, ogni tipo di commento, di opinione, di analisi di queste votazioni, possono essere ricondotte ad un unico problema: nessuno capisce più le persone che stanno votando. Perché cercare di immergere gli eventi nelle statistiche? Perché non ammettere che qualcosa sta cambiando nel modo più giusto che esiste? Democraticamente.
Di scandaloso in queste elezioni non c’è nulla: ogni singolo individuo ha messo la croce dove ha desiderato, l’unica sostanziale differenza è che oggi quel singolo voto ha cambiato la situazione; l’Italia è entrata attraverso la partecipazione dei suoi cittadini, in un periodo di cambiamento. La sconfitta più dura è stata subita dall’indifferenza.
Esattamente, l’inerzia non ha raggiunto alcun obbiettivo: chi ha lasciato che il proprio vicino di casa decidesse per lui, non ha visto nulla realizzato, perché nessuna decisione è stata presa. Circa un italiano su quattro ha votato direttamente Bersani, uno su quattro Berlusconi, uno su quattro Grillo e uno su quattro è praticamente fuori dal Parlamento. Bene questo dimostra come ogni persona che voi trovate per strada ha avuto un’importanza fondamentale per decidere la sorte del Paese. La democrazia, la partecipazione hanno vinto.
A caldo le cose certe sul prossimo futuro politico sono pari a zero, ma nell’ottica storica di questo momento le conclusioni che già si possono portare sono dei punti cardine della società. Trasversalmente a tutte le forze che hanno governato l’Italia, sta crescendo una realtà diversa, ma come mai si può definire tale? Tutti i ragazzi nati dagli anni 90 in poi hanno vissuto con Berlusconi presente nella vita sociale, nessuno sotto i 23 anni è consapevole di come la vita in questo Paese possa essere senza questa figura chiave della nostra nazione. Negativamente o meno questo è un dato di fatto, ma nel momento in cui ogni pensiero è cosciente di convivere dalla propria infanzia con una costante senza mai esserne usciti, se si è consci di ciò, allora la volontà è questa ed è giusto che le cose vadano in questo modo.
Questo è un momento di valutazione, constatare che il cambio generazionale è stato più netto che mai è un dovere e la conseguenza non è una rivoluzione, ma è semplicemente la realizzazione della democrazia. Questo è il momento delle proposte, l’ora di lavorare seriamente su dei cardini indispensabili al progresso che il sistema deve inseguire. Le curiosità che ora ci sorprenderanno sono la valenza delle nostre singole croci sulle schede: ogni giorno i parlamentari saranno costretti a sedere e votare tutte le leggi che passeranno, perché i grillini saranno presenti e in aula sarà finalmente necessaria ogni opinione, senza fronzoli, direttamente, con la rappresentatività che per fortuna ancora governa l’Italia.
Una reale conclusione non c’è, è una fase di cambiamento e solo negli anni a venire si potranno dare dei giudizi su ciò che stiamo vivendo, ma appunto stiamo veramente e finalmente vivendo in modo attivo la terra sulla quale camminiamo.

Idea del GFF

Il Giffoni Film Festival è al momento il più famoso festival cinematografico per ragazzi di tutto il mondo, ed ha passato da poco la soglia dei 40 anni.
Il tema di questa edizione è la felicità, e per la realtà italiana in cui è contestualizzato, credo sia la scelta più paradossale che la direzione avesse potuto fare.
Analizzandola però, si può scovare la chiave di lettura per questa decisione apparentemente azzardata: l’attesa che questa esperienza provoca, un’attesa completamente diversa dalla connotazione che viene data a questa parola, perché impegnata.
La differenza sta’ nell’assenza di quell’apatia tanto recriminata ai giovani che passano il loro tempo libero seduti davanti ad un computer o con un aperitivo tra le mani. Questa fetta di persone naviga nella rete per cercare solidarietà, quell’idea che secondo Walter Binni è l’unico spiraglio offerto da Leopardi nel dolce naufragare del suo pessimismo cosmico, e che non è più in grado di trovare nei rapporti umani.
L’attesa rivolta al Giffoni Film Festival è partecipativa, un concetto che Gramsci intellettuale pretende per la democrazia, e che l’idea di Claudio Gubitosi importa in un evento cinematografico: la partecipazione.
Questa è la sostanza della mia argomentazione, intendo prevenire la possibilità che si dia agli studenti l’etichetta dei nullafacenti, anche se presumo ci sia già stata data, valorizzando un momento di forte impegno. Non intendo parlare dei giorni propri del festival che si tiene dal 14 al 24 luglio, ma di tutta la fase antecedente: è sufficiente sfogliare i risultati del contest creativo che è stato svolto per la selezione dei giurati, che coprono anagraficamente tutte le fasce d’età a partire dai 3 anni.
Intendo prevenire la possibilità che le generazioni nate dopo gli anni ’90 vengano tacciate di sedentarietà dovuta al benessere consumistico, perché sono convinto che si stia formando una nuova classe di giovani con una loro capacità critica, ma che sfrutta la società di massa in cui vive (tutti possiedono l’I-phone). Entriamo nella machiavellica, appositamente non ho usato machiavelliana, realtà effettuale del presente.
È la solitudine esistenziale che i maggiori letterati del secolo scorso hanno saputo esplicare in modo più che soddisfacente, che provoca e porta alla ricerca di quella presunta solidarietà leopardiana. La risposta più semplice, il meccanismo d’unione che ritengo sia dilagato in maniera più efficace oggi è l’ignoranza: un’ignoranza superficiale riferita alla sfera del conscio, perché nel proprio inconscio ogni essere umano moderno sente il peso di questo malessere sovra-individuale, ma il problema è che non lo riesce a capire o ad esprimere, perché ad esempio non ha alba di cosa voglia dire ermetismo.
Mi auspico che eventi ed occasioni come il Giffoni Film Festival vengano amplificati, che venga creato un meccanismo d’unione di cultura, che ne venga valorizzata ed esaltata la creatività, una dote di cui dobbiamo essere fieri, mostriamo questa esperienza. Perché è grazie a questo che non ho paura di citare Gramsci attraverso l’odio dell’indifferenza, perché grazie alla felicità che infonde l’idea del festival si è orgogliosi di sé stessi, uniti e solidali in questa idea.
Ho quasi 19 anni, spero che il mio articolo sia non semplice, ma argomentato in modo corretto, spero di creare un dibattito sulla coerenza dei miei collegamenti, ma spero soprattutto che vi sia chiara la mia idea del Giffoni Film Festival.

Si respira Giffoni

Day 1. Le valigie si accumulano sulle scalinate, la macchia arancione della Arrex si fa notare, la cittadella, il centro delle attività del GFF accoglie i giurati di Sacile. Sabato 14 luglio 2012 è il primo giorno di questa nuova esperienza, i ragazzi osservano lo staff del Festival che corre preso dall’agitazione per l’arrivo del primo ospite: Jessica Alba è la star hollywoodiana d’apertura del red carpet. Dopo un’attesa che ha avuto il sapore di un’occasione imperdibile perché forse non si presenterà più, la sala si riempie di sorrisi via via più silenziosi; man mano che la voce del presentatore Manlio Castagna, vicedirettore dell’evento, diviene trepidante, chiara dell’arrivo imminente della bellissima attrice, i ragazzi rumoreggiano, pronti a scatenare le loro urla. «Arriva», no è un bluff, «eccola», un altro scherzo, «giurati del GFF 2012: Jessica Alba!». Quasi cambiano colore le pareti rivoltate dal caloroso abbraccio sonoro rivolto dai quasi 800 ragazzi presenti in sala… Era solo un assaggio, solo la prima “respirata” a pieni polmoni di questo piccolo paese in provincia di Salerno, che diventa già uno di quei vizi che se ti prendono bene non li vuoi smettere più. Nel tempo di un applauso, senza ancora aver aperto i lucchetti delle valigie, le nostre voci non urlano più ad una star che ha lasciato nell’aria la sua presenza impalpabile, ma si snodano in cori disarmonicamente a tempo di canzoni lanciate dagli imponenti “Gigli di Nola”: costruzioni magnifiche di legno sorrette da uomini uniti in una forma ancora più grande. Le mani ancora esultano e si alzano ad applaudire questo spettacolo mentre invece sono tese per togliere la maglietta in attesa di andare a dormire, finito, in un solo respiro tirato a braccia larghe, il primo giorno si chiude sempre su quella macchia arancione: le valigie si possono aprire domani, quella serata era ancora troppo magica per aprire i nostri lucchetti, magari l’indomani ci saremo ancora seduti sopra per tentare di chiuderle, in attesa di partire.

jury from Sacile Film Festival